Il dizionario del traduttore: un sogno che si realizza?
Massimiliano Morini
In un saggio la cui prima redazione risale al 1991 ("The Translator's Dictionary: An Academic Dream?"), Mary Snell-Hornby lamentava il fatto che la maggior parte dei dizionari bilingue in circolazione non fosse pensata per le esigenze dei traduttori, e auspicava che si lavorasse a nuovi strumenti lessicografici che non contenessero solo definizioni stereotipate ed esempi artificiali, ma
mettessero in luce tutti gli aspetti semantici, pragmatici e stilistici dei lemmi, attraverso definizioni realistiche e procedurali e l'osservazione del contesto e della collocazione di parole ed espressioni linguistiche. Questi strumenti, secondo la Snell-Hornby, avrebbero dovuto liberarsi della tirannia dell'ordine alfabetico in favore di nuove forme di consultazione basate su reti
sinonimiche e, più in generale, sui rapporti semantici fra voci.
Al giorno d'oggi, benché molte delle osservazioni della Snell-Hornby rimangano valide, la necessità di dare forma a dizionari cuciti a misura di traduttore pare meno pressante, perché i nuovi strumenti messi a disposizione dell'utente dagli ultimi quindici anni di sviluppo tecnologico consentono di effettuare in modo rapido molte delle ricerche che la traduttologa demandava al dizionario.
Grazie alla disponibilità quasi universale di programmi di elaborazione testuale, dizionari elettronici, corpora informatici e motori di ricerca, è possibile effettuare quelle ricognizioni sull'uso, sul contesto e sulla collocazione che servono al traduttore per delineare i contorni delle singole unità traduttive, nonché a individuare e verificare la validità dei possibili traducenti.